PRIMA E DOPO L’OCCUPAZIONE: IL LAVORO COLLETTIVO CONTRO LA FRAMMENTAZIONE

Intervista a Fadwa Abu Shrar, direttrice tecnica del Ministero dell’Agricoltura dell’Autorità Nazionale Palestinese: come combattere l’abbandono dell’Area C in Cisgiordania?

Fadwa Abu Shrar, direttrice tecnica del Ministero dell'Agricoltura per il governatorato di Hebron (Foto: Nena News)

Fadwa Abu Shrar, direttrice tecnica del Ministero dell’Agricoltura per il governatorato di Hebron (Foto: Nena News)

A quasi 50 anni dall’inizio dell’occupazione militare israeliana dei Territori Palestinesi, a 22 dagli Accordi di Oslo e la divisione amministrativa della Cisgiordania, la cosiddetta Area C si sta velocemente spopolando. Definita dal protocollo del 1994 come zona sotto il controllo militare e civile israeliano, l’Area C rappresenta oltre il 60% della Cisgiordania, negli anni soggetta a confische di terra, distruzione degli appezzamenti agricoli, costruzione e ampliamento delle colonie israeliane.

Un processo che ha portato allo spopolamento di buona parte della Cisgiordania e all’ufficiosa annessione allo Stato di Israele. Qui, in Area C, le restrizioni imposte dalla legge militare impongono ai residenti l’obbligo di chiedere alle autorità israeliane i permessi per costruire case, strutture agricole, fabbriche, infrastrutture e per usare le proprie risorse naturali. La naturale conseguenza è stata la perdita delle fonti tradizionali di sussistenza e la scomparsa di comunità e villaggi.

L’intervento che dal 2015 il Cric, in collaborazione con il Land Research Center, porta avanti si focalizza proprio qui, in Area C, a sud di Hebron. Il territorio è strategico: corre lungo il confine ufficiale, la Linea Verde, tra Israele e Cisgiordania ed è costellato di colonie, blocchi di insediamenti che – insieme alla costruzione del muro – hanno tagliato via una buona fetta di terre di proprietà palestinese.

La conseguenza è visibile ogni giorno: i palestinesi residenti hanno abbandonato le terre per cercare lavoro in Israele, i villaggi si svuotano, la biodiversità è messa seriamente in pericolo. Per questo il Ministero dell’Agricoltura dell’Autorità Nazionale Palestinese sta investendo su questa zona nonostante gli ovvi ostacoli: l’Anp non ha alcuna autorità sull’Area C, né civile né tantomeno militare, una realtà che impedisce di fornire servizi alla popolazione e costruire le infrastrutture necessarie ad uno sviluppo sostenibile.

Il bacino di Somara, luogo di intervento del Cric (Foto: Nena News)

Il bacino di Somara, luogo di intervento del Cric (Foto: Nena News)

Abbiamo incontrato Fadwa Abu Shrar, direttrice tecnica del Ministero dell’Agricoltura per il governatorato di Hebron. È stata lei a seguire fin dall’inizio il progetto del Cric e del Lrc, offrendo la partnership del suo ufficio nella realizzazione dell’intervento.

«L’agricoltura è uno degli capisaldi della lotta palestinese per restare sulla propria terra. È il settore del sumud, della resilienza. Terra e acqua non sono infatti solo gli elementi centrali per il settore agricolo, ma sono anche gli elementi chiave del conflitto. Per questo l’agricoltura deve tornare a svolgere il suo tradizionale ruolo di settore trainante dell’economia palestinese: oggi è l’ultimo in termini percentuali, di occupazione e produttività».

Solo così potrà competere con l’invasione dei prodotti a basso prezzo delle colonie agricole israeliane che, sfruttando le risorse naturali palestinesi, producono di più e con costi decisamente inferiori. In tale contesto diventa fondamentale il lavoro collettivo per evitare un’ulteriore frammentazione della terra, l’attività integrata di agricoltori, ong e Ministero.

«Il Ministero dell’Agricoltura svolge il ruolo di coordinamento tra i diversi stakeholder che operano sul campo, con l’obiettivo di realizzare il piano strategico di sei anni lanciato nel 2010 – spiega Abu Shrar – Ciò significa che il nostro ufficio fa da ombrello ai diversi attori perché l’attività agricola sia coordinata e piena: singoli agricoltori, cooperative, ong palestinesi e internazionali, organizzazioni di donne, i dipartimenti dei Ministeri delle Finanze e dell’Economia».

Dai contadini fino agli uffici ministeriali passando per i consigli comunali e di villaggio, le cooperative e le fattorie, le ong e i donatori. L’obiettivo è operare in modo strategico e senza accavallamenti, così che il denaro messo a disposizione dalle donazioni internazionali copra ogni settore e ogni attività in modo omogeneo e quindi efficace.

«Il piano strategico del Ministero dell’Agricoltura si fonda su una necessità impellente: rafforzare la resilienza in Area C, dare alla popolazione gli strumenti per rimanere e lavorare. È la nostra priorità da anni e viene portata avanti attraverso action plan in ogni governatorato della Cisgiordania. Gli action plan si fondano su linee guida per il settore agricolo a cui aderiscono sia le organizzazioni non governative che le autorità locali».

Nasce su queste basi il “Greening Palestine”, il progetto ministeriale che ha come obiettivi principali l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, acqua e suolo, e la difesa delle biodiversità palestinesi: «Greening Palestine ha tre scopi fondamentali – continua Abu Shrar – Il primo è politico: fornire ai contadini che vivono in Area C e vicino a muro e colonie terre da lavorare senza costi aggiuntivi. Il secondo è ambientale: ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici attraverso le buone pratiche. Il terzo è agricolo: aumentare la produttività e garantire la sicurezza alimentare».

I muretti di contenimento in pietra a secco nel bacino di Somara (Foto: Nena News)

I muretti di contenimento in pietra a secco nel bacino di Somara (Foto: Nena News)

Nella pratica il Ministero coordina e supervisiona i progetti sul campo per incrementare le zone agricole in Area C. Con le note difficoltà: alla mancanza di autorità sul 60% della Cisgiordania, si aggiunge una generale scarsità di fondi finanziari che – aggiunge la direttrice – si tenta di coprire con le risorse umane e economiche delle ong.

Tra le attività portate avanti all’interno del piano strategico c’è la banca dei semi: «Per salvaguardare le sementi tradizionali palestinesi, i semi vengono raccolti, catalogati, conservati e poi distribuiti agli agricoltori. Si opera nelle diverse aree, caratterizzate da biodiversità differenti: in ogni governatorato esiste una banca di semi nata dopo un processo di verifica delle sementi. Si testano le migliori a seconda della zona agricola, quelle che resistono meglio alla siccità e che sono più produttive in quello specifico terreno. Quindi, attraverso esperienze dirette, si catalogano i semi migliori».

In questo modo, spiega Abu Shrar, l’attività agricola diviene sostenibile e si permette l’ingresso dei contadini nel circolo virtuoso della produzione e la vendita diretta, rendendo le loro opinioni e le loro esperienze centrali nel processo decisionale a livello ministeriale.

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