DOVE SIAMO

Scorrete le storie dei villaggi palestinesi a sud di Hebron, beneficiari e fautori del progetto del Cric. Osservate le mappe, il percorso del muro, la presenza delle colonie: il migliore dei modi per comprendere le difficoltà del settore agricolo palestinese e le sfide che si pone. E poi approfondite: cosa sono il muro, le colonie, l’Area C?

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I VILLAGGI

BEIT MIRSIM

Beit Mirsim è un villaggio situato nell’area di Dura a 30 chilometri a sud est di Hebron (nella parte meridionale della Cisgiordania). Confina a est e a nord con Beitar-Rush al-Fawqa; al-Burj e il muro di separazione a ovest e a sud. Nasce dall’unione di due realtà abitative (Beit Mirsim e Abu Suhweila).

 

(Foto: Arij)

(Foto: Arij)

Il suo nome deriva dalle parole cananee “QaryaSafar” e da “Beitsefer” che vogliono dire “città dell’educazione”. In passato il villaggio ha avuto anche altri due nomi: Beit Sena (“ramo di palma”) e Dbeer. E’ stato fondato dalle antiche tribù arabe che emigrarono dalla Penisola araba e che si stabilirono in Palestina. Il villaggio era famoso per il “luogo di Handal”, un edificio simile ad una moschea che è stato distrutto dalle forze armate israeliane quando è stato costruito il muro di separazione nel 2004. Luoghi d’interesse storico e archeologico sono la collina di BeitMirsim con le cave e i palazzi cananei e gli antichi pozzi di pietra. Ad Abu Suhweila ci sono inoltre anche delle rovine risalenti al periodo romano. Parte della sua popolazione odierna è costituita dai palestinesi espulsi nel 1949 dall’appena nato stato d’Israele (provenivano principalmente dai villaggi di Mrat e Za’aq).

Il muro di separazione (di apartheid per i palestinesi) circonda il villaggio da nord, sud e ovest. La sua costruzione, cominciata nel 2004, ha causato lo sradicamento di 400 alberi di olivo e mandorle. La barriera è qui formata da rete elettrificata, lunga 3 km, e ha confiscato circa 80 dunam della terra del villaggio. Per altri due chilometri, invece, è rappresentato dal muro vero e proprio.

È governato da un consiglio del villaggio fondato nel 1997 e costituito da 6 membri.

SOMARA

Somara è un villaggio beduino nell’area di Adh-Dhahiriya situato a 20 chilometri da Hebron. Somara confina a est da Adh-Dhahirya, a nord dal villaggio di Wadi al-Kilab, a ovest da quelli di al-Burj e al-Bireh, a sud da Anab al-Kabir e Ar-Ramadin. È considerato una zona rurale e non ha autorità locale né dispone di servizi.

(Foto: Arij)

(Foto: Arij)

Secondo uno studio condotto nel 2007 da Arij (The Applied Research Institute – Jerusalem), i suoi residenti sono impiegati per lo più nel settore agricolo. Il villaggio fu duramente colpito dalle restrizioni imposte dalle autorità israeliane durante la Seconda Intifada: a pagare un prezzo salatissimo furono i piccoli agricoltori e coloro che erano impiegati in Israele a cui, di fatto, fu impedito di oltrepassare la Linea Verde.

Somara è un villaggio agricolo che dispone di 500 dunam di terra coltivabile. Tuttavia, di questi 200 dunam sono incolti a causa della mancanza di finanziamenti e dell’acqua. Per ovviare a quest’ultimo problema causato dall’occupazione israeliana, i contadini irrigano la terra utilizzando acqua piovana o cisterne. Ad avere un impatto negativo sull’agricoltura, inoltre, va ricordato che soltanto su 500 metri del territorio di Somara possono essere usati trattori e altri macchinari: il villaggio necessiterebbe della costruzione di nuove strade così da ricoprire tutte le sue aree coltivabili. I residenti dipendono principalmente dall’allevamento di bestiame. Attualmente a Somara ci sono 1.000 capre.

AL-BURJ
Al-Burj è un villaggio nell’area di Dura situato a 35 chilometri da Hebron. Confine a est con il villaggio di al-Bireh, a nord con BeitMirsim, ar-Ramadin a sud e dalla Linea dell’Armistizio (o Linea Verde, il confine riconosciuto internazionalmente tra Israele e Palestina) a ovest.

L’intera area di al-Burj è di 9.910 dunam: 160 sono occupati da zone urbane, 6.850 da quelle agricole e 1.906 sono classificate come foresta o terra pubblica incolta. Sono circa 2.000 i dunam di terra che Israele ha confiscato per costruire il muro di separazione e le colonie circostanti.

(Foto: Nena News)

(Foto: Nena News)

Il villaggio ha una storia di 800-1.000 anni. Secondo l’interpretazione di alcuni storici, il suo nome deriverebbe da un castello costruito nel 1254 chiamato “Castello di Saladino”, una torre di avvistamento dei villaggi occidentali (oggi all’interno d’Israele). Una versione che potrebbe essere corroborata dal fatto che in arabo al-Burj significa “torre”. I primi abitanti del villaggio provenivano dalla Penisola araba e dalla zona orientale della Giordania.

Secondo quanto riferisce il Ministero palestinese per l’Agricoltura, dei 6.850 dunam adatti per la coltivazione, solo 2.637 vengono usati per questo fine. Altri 2.000, infatti, servono solo per far pascolare il bestiame. Israele ha cominciato a costruire il muro di separazione ad al-Burj nel 2003 ed ora lo circonda sul suo lato occidentale per 6 chilometri. Secondo il piano di Tel Aviv, 500 dunam del villaggio saranno completamente isolati una volta che la barriera sarà completata.

L’opera di “difesa” israeliana ha avuto conseguenze immediate sulla popolazione locale: le forze armate di Tel Aviv hanno già tagliato 60 ulivi, distrutto due case e confiscato un chilometro di strade agricole. Inoltre, con il completamento del muro, i contadini perderanno la loro sorgente di acqua naturale “Bayara al-Burj” che sarà isolata dietro al muro.

ADH-DHAHIRIYA
Adh-Dhahiriya è una cittadina situata a 21 chilometri da Hebron che si estende su una superficie di 98.000 dunam. Confina a est con il paesino di As-samu’, con i villaggi di Rabud, Abu al-‘Asja, Kurza, al-Bireh, al-Burj a nord, con quello di ar-Ramadin a ovest e con la Linea Verde a sud.

Adh-Dhahiriya era una delle principali città cananee e la sua origine risale al 5.000 avanti Cristo. In passato ebbe molto importanza perché era a metà strada della rotta commerciale che legava l’Egitto alla Siria. Proprio da questa sua funzione di contatto tra i due Paesi potrebbe derivare il suo nome: in cananeo la parola Dhoher significava “punto, stazione commerciale”. Secondo altri studiosi, però, il nome adh-Dhahiriya deriverebbe da al-Thaher che significa “collina alta”.

(Foto: Arij)

(Foto: Arij)

Qualunque sia la vera origine del suo nome, la sua funzione di collegamento che aveva nel passato non l’ha persa nemmeno ai nostri giorni: è oggi il punto di contatto tra la Cisgiordania e la città israeliana di Beersheva. Grazie all’importanza commerciale che riveste, è uno dei centri più importanti del Governatorato di Hebron. Vanta, inoltre, alcuni interessanti siti archeologici e storici: Doma, la Città vecchia, al-Husn, Shuwaikah, Sammah, KafrGul, Caesareya e Anab al-Kabir.

I segni dell’occupazione israeliana sono presenti ovunque nella cittadina. Prima di tutto perché Adh-Dhahiriya è circondata da quattro colonie: Eshkolot a sud-est; Tene a sud; Shima a est e la Nuova Shima a sud. Poi per la presenza di una bypass road israeliana la circonda nella sua parte occidentale, meridionale e orientale. E infine per via di tre checkpoint militari e un cancello di ferro che di fatto la chiudono completamente.

Le politiche di occupazione israeliane in Cisgiordania hanno prodotto risultati evidenti in Cisgiordania: si pensi che circa 30mila dunam del suo territorio sono stati confiscati prima e durante la Seconda Intifada. A peggiorare le condizioni di vita dei residenti di Adh-Dhahiriya è stata nel 2007 la costruzione del Muro di separazione che si estende per 12 chilometri da sud a ovest all’interno della cittadina. L’erezione della barriera israeliana ha comportato la confisca di 5mila dunam di terra, l’isolamento di altri 5mila e la distruzione di cinque case. Inoltre, in seguito alla costruzione del muro 70 abitanti sono stati isolati dal resto della cittadina.

Dei 98mila dunam di terra complessivi su cui si estende adh-Dhahiriya, 16mila sono considerati area urbana mentre 48.500 terra coltivabile. Di fatto, però, a causa dell’occupazione israeliana, solo 22.938 dunam sono utilizzati.

AL-BIREH
Al-Bireh è un villaggio situato nell’area di Dura e si trova a 19 chilometri dalla città di Hebron. Confina a est con Adh-Dhahiriya (villaggio di Somara), Beitar-Rush al-Fawqa al nord; al-Burj al sud e adh-Dhahiriya a ovest.
Il villaggio si estende su un’area di 4.000 dunam di cui 2.650 coltivabili. Tuttavia, solo 1.327 sono regolarmente utilizzati. Si coltivano cetrioli e pomodori.

(Foto: Arij)

(Foto: Arij)

 

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COS’E’ L’AREA C?
L’accordo ad interim sulla Cisgiordania e la Striscia di Gaza (noto come Oslo II), firmato da Israele e dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) il 28 settembre 1995, ha diviso la Cisgiordania in tre zone amministrative: Area A (il 18% del suo territorio) che include tutte le grandi città palestinesi, capoluogo di governatorato, e la maggior parte della sua popolazione in Cisgiordania; Area B (il 22%) che comprende ampie aree rurali dove Israele mantiene il controllo della sicurezza laddove le questioni amministrative spettano all’Autorità nazionale palestinese (Anp); Area C (il 60%) dove lo Stato ebraico ha il controllo sia dal punto di vista della sicurezza che amministrativo [clicca qui per esplorare la mappa in basso]. Qui l’Anp è responsabile per i servizi educativi e sanitari per la popolazione palestinese residente in questa zona. Tuttavia, la costruzione e il mantenimento delle infrastrutture restano in mano israeliana. Le questioni civili in Area C sono responsabilità dell’Amministrazione Civile israeliana.

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Secondo gli accordi di Oslo II, la divisione in aree doveva essere temporanea e l’autorità su tutti i territori della Cisgiordania sarebbe dovuta passare gradualmente all’Autorità palestinese. L’intesa, infatti, non rispondeva ai bisogni a lungo termine della popolazione cisgiordana. Tuttavia questo carattere “temporaneo” e “provvisorio” è ancora in vigore nonostante siano passati oltre 20 anni.

Nell’Area A e B vivono oltre 2,4 milioni di palestinesi separati in 164 unità di terra che non hanno contiguità territoriale. Le zone che circondano l’Area A e B furono definite Area C che comprende quasi interamente tutta la parte est della Cisgiordania dai versanti orientali delle montagne centrali fino al fiume Giordano. Fanno parte di questo territorio anche ampie fette di territorio che si trovano nella zona centrale e occidentale della Cisgiordania.

L’Area C include tutte 125 le colonie ufficiali israeliane così come ampi tratti di territorio sotto la giurisdizione dei consigli regionali e locali delle colonie. Queste aree corrispondono circa a 210.000 ettari (circa il 63% dell’Area C). A partire dalla metà degli anni 90, circa 100 avamposti illegali colonici – fondati senza permesso formale delle autorità statali, ma con la loro assistenza e incoraggiamento – sono stati creati in area C. Alla fine del 2011 circa 325.000 coloni vivevano in questa porzione di territorio.

Il numero preciso dei palestinesi presenti in area C è sconosciuto. Secondo la ong israeliana Bimkom, sarebbero 200mila mentre per l’Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari) sono 300mila. Bimkom e Ocha concordano che sono 60.000 i palestinesi che risiedono in almeno 180 villaggi e comunità che fanno parte dell’Area C; mentre il resto, tra 140mila e 240mila vive in circa 290 villaggi e città. Solo alcune aree edificate di queste comunità si trova in Area C, il resto è in Area A e B.

In Area C vivono in tende, baracche di lamiera o grotte, più di 20.000 beduini. La popolazione beduina ha un accesso molto limitato ai servizi e non è allacciata alla rete idrica né dispone di infrastrutture sanitarie ed elettriche. Secondo l’agenzia Onu per gli affari umanitari, il 34% dei beduini è a rischio d’insicurezza alimentare, laddove questo dato è in Area C del 24% e del 17% in Area A e B.

In Area C Israele limita fortemente l’insediamento, le costruzioni e lo sviluppo delle comunità palestinesi e nello stesso tempo ne ignora i loro bisogni. Da un punto di vista pratico questo vuol dire che i palestinesi non ricevono permessi per costruire case e sviluppare i loro centri vivendo sotto la paura costante di vedere demolite le proprie abitazioni o di essere espulsi.

L’Area C dispone della maggior parte delle riserve di terra per l’intera popolazione palestinese della Cisgiordania. Queste zone non solo permetterebbero lo sviluppo e l’espansione delle loro comunità, ma potrebbero essere sfruttate anche per costruire infrastrutture come impianti per il trattamento delle acque o aree industriali che non possono essere situate vicino alle aree residenziali. Inoltre, sarebbero necessarie per lo sviluppo dell’economia della Cisgiordania, soprattutto per l’attività estrattiva dei minerali, per le fonti d’acqua, l’agricoltura, il pascolo e il turismo.

 

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COS’E’ LA BARRIERA DI SEPARAZIONE?
Nel giugno del 2002 il governo israeliano ha deciso di erigere una barriera fisica che separa Israele dalla Cisgiordania con l’obiettivo dichiarato di regolare l’entrata dei palestinesi della Cisgiordania in Israele. In molte aree, la barriera di separazione si presenta come una recinzione elettrificata affiancata da filo spinato e trincee. La sua larghezza media è di 60 metri. Tuttavia, in alcune zone, essa si presenta come un muro di cemento alto dai sei agli otto metri.

Il muro sotto forma di barriera elettrificata tra Beit Sahour e Gerusalemme (Foto: Nena News)

Il muro sotto forma di barriera elettrificata tra Beit Sahour e Gerusalemme (Foto: Nena News)

L’intera lunghezza della barriera – quella già costruita, quella in costruzione e quella ancora da fare – è di 709 chilometri, due volte la Linea Verde, il confine ufficiale tra Israele e Cisgiordania tracciato nel 1948.
Di fronte alla decisione di Tel Aviv di costruire la barriera di separazione seguendo un tracciato che in più punti trasborda il teorico confine tra Israele e Palestina, i palestinesi hanno a più riprese denunciato il piano israeliano firmando numerose petizioni.

Nel giugno del 2004, la Corte Suprema israeliana ha affermato che il percorso attorno i villaggi palestinesi nella zona nord occidentale di Gerusalemme era per la gran parte illegale e che, pertanto, lo stato avrebbe dovuto presentare un nuovo piano. In seguito a tale decisione, l’allora premier israeliano Ariel Sharon ordinò all’apparato di sicurezza di rivedere l’intero percorso che fu ripresentato emendato nel febbraio del 2005.

Il 9 luglio dello stesso anno intervenne sulla questione anche la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). L’ICJ emise un parere consultivo secondo cui il muro che Israele stava (e sta) costruendo in Cisgiordania rientrava nell’illegale sistema israeliano di insediamenti e annessioni. La corte internazionale di giustizia chiedeva pertanto a Tel Aviv di cessare la sua costruzione, di abbattere le sezioni già costruite e pagare i risarcimenti per i danni causati.

Lavoratori palestinesi in fila all'alba al checkpoint 300, verso Gerusalemme (Foto: Nena News)

Lavoratori palestinesi in fila all’alba al checkpoint 300, verso Gerusalemme (Foto: Nena News)

Nonostante le modifiche apportate dall’esecutivo Sharon, nel settembre del 2005 la Corte Suprema di Giustizia israeliana stabilì nuovamente che Tel Aviv avrebbe dovuto cambiare il percorso della barriera attorno all’insediamento colonico di AlfeiMenashe perché rendeva di fatto enclave i villaggi palestinesi di Wadi Rasha e Ras at-Tira. Due anni dopo, sempre l’Alta Corte di Giustizia stabilì che anche il muro che circondava Bil’in doveva essere modificato perché privava il villaggio palestinese in questione di 700 dunam di terra i quali venivano confiscati per espandere la colonia israeliana di Modi’in  Ilit. Alla fine, nonostante la modifica, 1.500 dunam delle terre di Bil’in continuano a restare a ovest della barriera di Separazione.

Non un caso unico del resto. L’85% del percorso del muro è all’interno della Cisgiordania, non lungo la Linea Verde. Nelle zone dove la barriera è già realtà, le violazioni dei diritti umani a danno dei palestinesi sono evidenti. In primo luogo Israele ha imposto restrizioni al movimento della popolazione locale,aggravando un quadro già di per sé difficile dallo scoppio della Seconda Intifada nel 2001.

Il muro in cemento tra Betlemme e Gerusalemme (Foto: Nena News)

Il muro in cemento tra Betlemme e Gerusalemme (Foto: Nena News)

Migliaia di palestinesi hanno difficoltà a raggiungere i loro terreni e a recarsi in altri luoghi della Cisgiordania a causa del Muro e dei checkpoint israeliani. Ad essere colpita è stata l’economia locale soprattutto se si considera che le terre più fertili cisgiordane si trovano ad ovest della barriera. Qui, secondo la Banca Mondiale, viene prodotto l’8% della produzione agricola totale palestinese.

Le restrizioni sul movimento fanno sì che i palestinesi abbiano enormi complicazioni per raggiungere villaggi o città vicine. Ma non solo: ad essere danneggiato è anche il sistema educativo perché molte scuole – soprattutto quelle delle comunità più piccole – dipendono da insegnanti che vivono fuori il paese dove insegnano e dove devono recarsi ogni giorno per lavorare. Inoltre, anche i rapporti sociali vengono profondamente intaccati dalla presenza della barriera: le famiglie sono di fatto separate tra di loro dal muro e spesso luoghi vicini divengono irraggiungibili.

Israele sostiene che la costruzione del muro serve a proteggere i cittadini israeliani dagli attacchi palestinesi. Tuttavia, questa difesa dichiarata non spiega perché la Barriera sia stata costruita soprattutto in territorio palestinese e perché molte aree, grazie alla sua presenza, sono entrate ufficiosamente a far parte d’Israele. Quando sarà completata, il 9.5% della Cisgiordania, con 60 colonie, saranno nel lato occidentale “israeliano”. Per molti politici israeliani il muro costituisce il futuro confine dello stato ebraico.

 

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COSA SONO LE COLONIE

Dal 1967 alla fine del 2013, sono stati fondati 125 insediamenti in Cisgiordania riconosciuti come “comunità” dal ministero degli Interni israeliano. Nello stesso periodo sono stati creati anche:

⁃ circa 100 avamposti militari (colonie costruite senza una autorizzazione ufficiale, ma con il sostegno e l’aiuto dei ministeri);
⁃ alcune colonie all’interno di Hebron che hanno ricevuto il sostegno da parte dei governi israeliani;
⁃ 12 quartieri in Cisgiordania assegnati alla giurisdizione del governo israeliano. Tel Aviv ha anche fondato e sostenuto la fondazione di varie enclave coloniche a Gerusalemme est che per la legge internazionale e gli Accordi di Oslo è un territorio occupato ed è capitale del futuro stato di Palestina;
⁃ 16 insediamenti nella Striscia di Gaza e quattro nell’area settentrionale della Cisgiodania smantellati nel 2005 nel corso del “Piano di Disimpegno”;

I coloni presenti in Cisgiordania sono circa 547.000: alla fine del 2013, 350.000 vivevano in Cisgiordania mentre 196.890 nelle colonie israeliane all’interno di Gerusalemme est.

Colonie israeliane vicino al villaggio palestinese di Nabi Samuel (Foto: Nena News)

Colonie israeliane vicino al villaggio palestinese di Nabi Samuel (Foto: Nena News)

L’esistenza degli insediamenti israeliani comporta una serie di violazioni dei diritti umani a danno dei palestinesi tra cui: furto di proprietà e terra, ineguaglianze, un differente standard di vita tra coloni e palestinesi, limitazioni di movimento. Inoltre, l’esistenza delle colonie impedisce la possibilità della creazione di uno stato palestinese indipendente e sostenibile.

Gli insediamenti occupano solitamente ampie aree di territorio che vanno molto al di là della parte urbanizzata. Le zone in cui sorgono sono dichiarate militari e l’accesso ad esse è impedito ai palestinesi se non con permessi speciali. In generale, le colonie e le porzioni di territorio sotto la giurisdizione dei consigli regionali israeliani occupano il 63% dell’Area C (che è sotto il pieno controllo di Tel Aviv) dove ai palestinesi, a differenza dei coloni, non è permesso di costruire o svilupparsi.

Sebbene la Cisgiordania non sia parte del territorio israeliano, le colonie e i coloni sono soggetti alla legge israeliana. Da qui ne deriva un’immediata conseguenza: i settler godono degli stessi diritti degli israeliani che vivono all’interno della Linea Verde (Israele) a differenza dei palestinesi che continuano a vivere sotto la legge marziale e sono sistematicamente privati dei loro diritti e di poter disporre liberamente dei loro territori. La fondazione degli insediamenti colonici è contraria al diritto internazionale che afferma che una potenza occupante non può fare cambiamenti permanenti ad un territorio che ha occupato e impedisce allo stato occupante di trasferire i suoi cittadini nel territorio occupato. Le autorità israeliane hanno pertanto implementato una politica di sistematica violazione del diritto internazionale incoraggiando con benefici finanziari e incentivi economici i propri connazionali ad abitare in Cisgiordania.

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